RASSEGNA STAMPA

IL SECOLO XIX - «Diaz, l’ho sempre detto che gli ordini arrivavano dall’alto»

Genova, 31 maggio 2010

IL COMANDANTE DELLE “CELERE” DOPO LA CONDANNA PER IL BLITZ
«Diaz, l’ho sempre detto che gli ordini arrivavano dall’alto»
Canterini: hanno cercato di scaricare tutto su di me

L’INTERVISTA
MARCO MENDUNI

COMANDANTE Canterini, a botta calda ha reagito malissimo. La condanna per il blitz alla scuola Diaz è pesante. Ma questa sentenza stabilisce anche una verità che lei ha sempre sostenuto: le responsabilità del blitz stavano altrove, in alto.
«Voglio dire le cose come stanno. La sentenza pesa e pesa parecchio, dopo 44 anni di carriera immacolata. Mi pesa soprattutto perché le condanne dei miei uomini me le sento addosso tutte io. E perché mi sono sentito, con i miei, un sacrificato. La sensazione della prima sentenza (quella che colpiva solo Canterini e i suoi uomini e assolveva tutti gli altri, ndr) era chiarissima, la seconda è peggio ancora».
Vincenzo Canterini, ex comandante del reparto mobile di Roma, condannato a cinque anni in appello per la sanguinosa irruzione alla scuola Diaz, decide diparlare. Ed è la prima volta che un “pezzo grosso” della polizia rilascia un’intervista dopo la pesante condanna che ha coinvolto anche i vertici. Lo fa accanto al suo avvocato Silvio Romanelli, noto e appassionato penalista, protagonista in aula di scontri (professionali) animatissimi con i pm della procura di Genova. Ora il legale prepara il ricorso in Cassazione. E dà coraggio al suo assistito, Canterini. Che decide di rispondere ancora alle domande del Secolo XIX.
Perché questa sentenza d’appello è peggiore della prima? Ricostruisce lo spaccato di verità che lei aveva denunciato.
«A una condanna degli altri non è corrisposto un riconoscimento del nostro ruolo come secondario. Ancora una volta mi sono trovato, io e i miei, più condannato degli altri».
E perché lei sarebbe “meno colpevole”?
«Io so una cosa: il caso Diaz è stato il foruncolo che è uscito fuori da una situazione malata. Quando tu mandi a Genova un vice capo della polizia (il prefetto Arnaldo La Barbera, ndr) non particolarmente esperto in ordine pubblico, quando tu non lo mandi in prefettura ma addirittura in questura, è chiaro che tu esautori completamente il questore (all’epoca Francesco Colucci, ndr). Esautori quello che è il responsabile dell’ordine pubblico in prima persona. Se ci fosse stato un questore nella pienezza dei poteri, si sarebbe saputo a chi far riferimento e chi avrebbe avuto le responsabilità. Sarebbe venuto lui alla Diaz e avrebbe dato gli ordini».
Non è andata così. Ma questo che cos’ha determinato?
«Alla Diaz ci siamo ritrovati i miei ed io e poi tutta una serie di vicecapi, dirigenti, tra cui la persona di cui non faccio il nome perché è morta (sempre La Barbera, ndr), il quale stava lì, ma non ce ne siamo neanche accorti vista la confusione. Quella persona mi diede l’ordine. Poi ha sostenuto il contrario: che mi avrebbe detto di non entrare, di non fare irruzione nella scuola, ma che io avevo deciso di entrare lo stesso. Una cosa che non sta né in cielo né in terra».
Però non ha chiarito almeno chi diede l’ordine a lei.
«Allora: io arrivo in questura a riunione già conclusa e mi dicono che bisogna entrare in una scuola dove ci sono dei “supposti terroristi”. Io che sono un tecnico chiedo: c’è una pianta della scuola? No. L’edificio è già stato circondato? No. Allora dico: basta buttare una modesta quantità di lacrimogeni, questa gente esce, li controlliamo senza farmale a nessuno. La mia idea non viene accettata. Ma poi hanno detto che sono stato io ad aver deciso di entrare per forza».
Chi era l’interlocutore? Chi le diede il comando, quella notte?
«La persona che è mancata e che non voglio nominare (ancora il prefetto La Barbera, stroncato dalla malattia alla fine del 2002, ndr). La disposizione di entrare l’ho avuta da lui. Tanto che abbiamo concordato di buttare giù il cancello della Diaz con un blindato».
Dal momento in cui prende l’ordine, ha altri contatti?
«Quella persona non l’ho più vista nè sentita. Mi hanno detto successivamente che c’era, davanti alla Diaz, con un casco in testa, ma io nemmeno l’ho vista».
Comandante, per quanto le cose siano state mal organizzate, non credo gli agenti siano usciti dalla questura e siano partiti all’assalto di una scuola distante più di un chilometro senza altri step, senza che davanti alla scuola qualcuno abbia coordinato l’intervento.
«Lei ha ragione a insistere e mi fa venire in mente un’altra cosa. Io ho diviso gli uomini del mio nucleo in due colonne. A capo di ognuna delle due c’era un funzionario della questura, della Digos. Io sono arrivato successivamente, quando già il cancello era stato aperto. Chi ha dato l’ordine di entrare? Sicuramente i funzionari che stavano lì con i miei (c’era l’allora capo della Digos Spartaco Mortola, ndr). Ma quando siamo partiti dalla questura era pacifico quel che si doveva fare».
Quindi lei non sa chi diede materialmente l’ultimo ordine.
«La domanda che lei mi pone dimostra la confusione che c’era lì. Un esempio: si vede che noi siamo entrati per primi, ma poi decine di altri agenti sgomitano per entrare a loro volta e in quel caos non si capiva più chi desse gli ordini, chi c’era e chi non c’era».
I sospetti sul si sono concentrati su di lei.
«Dal comportamento che c’è stato successivamente, nello scaricabarile che c’è stato tra i miei capi, i miei superiori, ho capito che avevano deciso di dare tutta la colpa al reparto, cheaveva un comandante così assetato di sangue che, nonostante un vicecapo della polizia gli avesse detto di non entrare, era voluto entrare per forza».
Lei ha preso l’ordine da La Barbera. C’è stato qualcun altro a decidere quell’irruzione, di entrare nella scuola dei no global?
«Tutte le altre persone alle quali sono state inflitte delle pene».
Lei è stato condannato anche per falso.
«Anche questa condanna mi pesa moltissimo. Faccio due righe, come mi viene ordinato da un superiore, al questore. Due righe per me veritiere ma molto succinte, perché io molte cose non potevo saperle. Ero arrivato dopo lo sfondamento del cancello, ero andato via a operazione conclusa. Non sapevo nulla né delle molotov, né di altro. Alla fine mi sono preso anche il falso in atto pubblico, perché quelle due righe sono state mandate alla procura ed enfatizzate.».
L’ordine del blitz è però scattato da piani superiori della polizia.
«La Diaz è stata gestita male e non so perché da Roma si siano interessati, dopo che i disordini erano finiti, dopo che i manifestanti sono andati via, a realizzare quel blitz. Nella mia personalissima analisi,“qualcuno”si è sentito sfottere perché avevano sfasciato tutta Genova e ha voluto salvare la faccia. Mi sono anche meravigliato che siano anche arrivati i giornalisti e li abbiano pure fatti entrare, perché quello era teatro di un’operazione di polizia giudiziaria».
Lei si è sentito come il capro espiatorio individuato dall’interno della polizia.
«Siamo stati condannati tutti, ma io e i miei uomini più degli altri. Qualcuno ce l’ha con noi, qualcuno ha voluto scaricare sul nostro reparto responsabilità che non avevamo. I miei uomini erano addestratissimi e non risentivano dello stress. Non si sono abbandonati a violenze. Non si sono trasformati in tanti Mister Hyde picchiando alla cieca. Per due giorni hanno difeso la Costituzione repubblicana contro persone armate che volevano distruggere Genova. Sono stati degli eroi. Altre centinaia di agenti sono entrati nella Diaz picchiando e non sono mai stati identificati. E non so perché».